sabato 25 febbraio 2012

La Continuità del "Sistema Italia"

Contrariamente a quanto sostenuto dagli apologeti del tempo che fu sul carattere "rivoluzionario" del fascismo, oggi si può chiaramente affermare che il Regime fascista non fu affatto un regime rivoluzioario. 
Il fascismo mantenne buona parte delle istituzioni date in lascito dalla monarchia sabauda: la monarchia stessa, il Senato, e lo statuto albertino, solo per citare tre esempi importanti. Anzi, fece di più: gettò un ponte fra lo Stato monarchico e la chiesa Cattolica, superando la grave crisi venutasi a creare dopo l'unità d'Italia.  Quindi non solo non rivoluzionò alcunchè, registrandosi di fatto fra i regimi reazionari atti a fermare il pericolo bolscevico, ma divenne l'alleato principale della Chiesa cattolica affiancandosi ad essa nell'educazione della gioventtù, mirando a consolidare il "panciafichismo" borghese di cui pure diceva di voler combattere. 
Inoltre parte della costituzione economica rimase inalterata nella Costituzione repubblicana nata dalla resistenza, facendo in modo che si realizzasse altresì una sorta di continuità del Sistema.  Gli stessi vertici dei "servizi segreti" non furono "decapitati" nella nuova stagione "democratica" ma riadattati alle nuove esigenze sistemiche atlantiche. Per non parlare poi del vetusto sistema giudiziario. Si calcola infatti che almeno due terzi delle norme amministrative fasciste rimasero in vita, in barba a chi auspicava un totale rifacimento dell'impianto legislativo. Fu per questo preciso motivo che venne fatta la famigerata amnistia, per garantire continuità al sistema, che vide smarrire il senso di un totale ricambio nel personale statale. Altro che "epurazione"! Altro che "tollerare in basso e colpire in alto". Avvenne esattamente il contrario!
Il sistema fascista non rivoluzionò alcunchè. In vero, esso rappresentò un rimescolamento di elementi eterogenei. Riesumò i vecchi strumenti dello stato liberale unitario e li adattò al regime in chiave autoritaria. Modificò le forme di governo legando il partito allo Stato; disciplinò, secondo un disegno autoritario, l'accesso al pubblico impiego:  il diritto di voto venne soppresso e sostituito con le nomine dall'alto.  Un esempio emblematico è rappresentato dalla libertà di stampa e associazione... Un altro esempio di continuità del "sistema italia" ci viene offerto dal Sistema corporativo, che addirittura precede il fascismo e, purtroppo, sopravvive alla sua fine. L'ordine corporativo delle professioni, costituite in forma pubblica, sono infatti una caratteristica del'Italia liberale. Mussolini se ne impadroni e la fece sua. A tal proposito, nel 1933, prima di abolire la Camera dei deputati e di istituire quella dei fasci e delle corporazioni, scrisse:
"Il corporativismo è l'economia disciplinata e quindi controllata(...) Supera il socialismo e il liberalismo, crea una nuova sintesi".
E' la cosiddetta "terza via" che inizia col fascismo e prosegue inalterata (o quasi), sotto spoglie falsamente democratiche, nell'italia democristiana del dopoguerra. All'uopo occorre precisare che sino al febbraio del 1934 lo Stato Corporativo fascista fu paradossalmente uno stato senza corporazioni, perchè solo allora queste furono create, e  in forma del tutto subordinata all'amministrazione statale e al potere politico di stampo dittatoriale. E' necessario rimarcare questo paradosso, poichè nonostante le tesi di un certo fascismo di "sinistra" - si pensi anche ad Ugo Spirito - le corporazioni non furono mai altro che nuovi organismi burocratici venutisi a  sovrapporre a quelli preesistenti, ingenerando perciò sprechi ed ulteriore confusione. Essi furono in ultima istanza ligi strumenti di una politica (anti) economica  che copriva le sue pochezze con la demagogia.  L'interesse che, oggi, in alcuni ambienti a corto di idee, desta il corporativismo fascista, non trova un suo corrispettivo negli ambienti accademici; e, qualunque studioso serio, senza paraocchi, non può che archiviarlo come inutile, inutilizzato e desueto. E, pertanto, può durare solo il tempo di accorgersi del carattere di mero espediente politico della nuova esperienza italiana.  In verità, bastarono pochi anni per passare dall'interesse agli aspetti dottrinali e pratici del corporativismo alla preoccupazione ben più impellente per il potenziale reale o presunto tale nella economia dell'Italia fascista.  Il Corporativismo, dunque, oltre a costituire un vero e proprio "specchietto per le allodole",  servì praticamente per abolire di fatto la concorrenza e il merito. Esso fu il luogo preferito per la realizzazione di pratiche collusive  al fine di irrobustire le schiere dirigiste preposte al mantenimento artificioso di rendite di posizione e di ricchi monopoli. Crolla miseramente così l'idea del fascismo come parentesi "sociale" nella Storia d'italia  Esso fu la risposta autoritaria ad un momento di imminente cambiamento, un argine alla sovversione e, nel contempo, una linea di difesa della borghesia italiana. Una delle letture del fascismo in chiave di continuità dello stato che emerge sempre più dalla  crisi dei partiti e il permanere del cosiddetto neocorporativismo. In fondo, quello che resta in piedi al di là del meccanismo partitico, è la struttura neocorporativa: sindacati, imprenditori, governo, partiti. In questo ambito  il parlamento non è più organo di confronto e di proposizione legislativa ma centro di mediazione di interessi particolari. Tale abbaglio venne difeso e protratto anche durante il dopoguerra da parte di politici socialisti e democristiani, a dimostrazione ulteriore che le mentalità errate sono assai difficili da modificare; poichè, forse, le mentalità cambiano assai più lentamente rispetto alle istituzioni. Tale stato di cose è stato giustamente evidenziato dal compianto Prof. Nicola Zitara di Siderno, il quale indicò proprio la Democrazia Cristiana, quale partito egemone che ereditò il lascito del P.N.F. In pratica la D.C. propose ed attuò il sistema corporativo in veste clientelare, dando corpo al voto di scambio e alle pratiche collusive presenti nella Penisola.
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