sabato 31 dicembre 2011

IO NON FESTEGGIO!

Il Mezzogiorno era definito da De Pretis: “singolarmente ricco”  da Minghetti: “il paese più bello e più fertile”,  da Quintino Sella  “eccezionalmente cospicuo”,  e queste opinioni erano avvalorate dai meridionali. “Troppo favorito dalla natura” - aveva detto Ruggero Bonghi. Il Mezzogiorno era per Petruccelli della Gattina, esule in Piemonte, “una  terra in cui Iddio esaurì la sua opulenza di Creazione”

Il 2011 che, per fortuna,  sta per finire, è stato l’anno di una commemorazione solenne: i 150 anni dell’unità d’Italia. Qualora qualcuno se ne fosse dimenticato, non se ne faccia un cruccio… ci sarà sempre qualche “buona” istituzione repubblicana pronta a ricordarglielo incessantemente. Nel non lontanissimo 1989, si celebrò un altro evento nefasto: il Bicentenario della Rivoluzione Francese. Per questo non di risorgimento si dovrebbe parlare ma di Rivoluzione in Italia. La rivoluzione giacobina, sulla scorta delle idee illuministiche, portò, sulla punta delle baionette, senza suffragio alcuno, le idee anticristiane che rivoluzionarono non solo il nostro paese ma anche l’Inghilterra, gli Stati Uniti d’America, il mondo tutto. Il popolo, intanto, restava quello che era, fermamente attaccato alla chiesa e alla Religione; le élites, in massima parte, si abbeverarono ai lumi sulfurei  accesi nei paesi anglosassoni  dal protestantesimo, si affiliarono alle logge massoniche condannate dalla Chiesa, eppure sparse in tutto il mondo. Queste ultime, sotto la protezione interessata e complice di molte teste coronate, misero mano alle riforme: soppressione di tanti conventi e incameramento dei beni ecclesiastici, regalismo, giurisdizionalismo anticuriale, soppressione dell’inquisizione, ecc. In alcuni Stati, addirittura, anche la rivoluzione giansenista. Le idee illuministe portarono dunque distruzione e morte in un Italia indebolita e divisa, trovando però di fronte l’insorgenza delle forze popolari che si contrapposero fermamente all’invasione massonico-piemontese. Ebbene, questi due eventi, nonostante il lasso di tempo e le inevitabili differenze, mantengono uno strettissimo collegamento ai fini del sovvertimento generale dei costumi e della società occidentale. Hanno ragione coloro che ritengono inopportuno il richiamo alle radici cristiane dell'Europa: esse, allo stato dei fatti, sono state sradicate.  Ma qui non vogliamo aprire una inutile digressione.
La restaurazione monarchica fece l’enorme sbaglio di lasciare al proprio posto la maggior parte di queste “élites” (segretamente affiliate alle logge), ignorando il virus massonico che avevano ormai assimilato... La classe dirigente del Regno delle Due Sicilie era ormai stata plagiata dall’illuminismo, poiché a Napoli come a Palermo o a Cosenza, la Massoneria aveva gettato i semi della zizzania anticristiana. Solo pochi, fra quelle teste coronate, impararono la lezione.
E, così, con la casacca rivoltata, le medesime “élites”, impregnate dall’illuminismo luciferino dei tagliatori di teste francesi e dagli usurai liberisti inglesi, ripresero il lavoro di prima, ripensando, a come evitare nuovamente il fallimento. Il virus inoculato dall’occupazione straniera avrebbe ridato linfa letale ai suoi bubboni purulenti. I nostri “padri della Patria”, nonché i loro epigoni, emuli ed ammiratori  non sono forse la quintessenza del patriottismo e dell’italianità? E com’è che allora che questi “patrioti di oggi e di ieri detestano cordialmente l’Italia reale, la sua storia, le sue tradizioni, il suo carattere, il suo popolo, la sua religione? Il termine stesso di Risorgimento, come quello di Rinascimento d’altronde, indica un disprezzo totale di ciò che precedeva  queste ere “felici”: prima del Rinascimento era la barbarie del Medioevo, prima del Risorgimento la morte nazionale  della controriforma, per cui secondo questi patrioti l’Italia nasce nel 1861 o, meglio nel 1870! Dimenticano cosa fece il Papa e, soprattutto, dimenticano cosa fecero i Borbone… Infatti la prima idea della nazione italiana non nasce con Cavour, o con i rivoluzionari del ‘48, ma a Bitonto, in Puglia. Infatti a Bitonto c’è ancora un obelisco bellissimo dove Carlo di Borbone nel 1734  dice: “Qui vengono gettate le basi della nazione italiana, delle libertà degli italiani”. Unificazione non significava unire meccanicamente la Calabria (o le Calabrie come si diceva allora), alla Puglia (o alle Puglie),  al piccolo Piemonte. Tutt’altro.  Per questi motivi fu solamente il popolo a pagare. Solo coloro che rimasero estranei alla rivoluzione giacobina in Italia si opposero strenuamente e pagarono con il sangue il frutto marcio dell’occupazione savoiarda.

Secondo la storia ufficiale il divario economico fra nord e sud non si limitava all’industrializzazione, alla mancanza d’infrastrutture, del livello d'istruzione ecc. ma si allargava a tutti gli aspetti della vita sociale. Il sud avrebbe continuato a vivere in una sorta di “medioevo”, entro cui persino l’agricoltura  scarseggiava.  Questo enorme divario economico-culturale preesistente (e mai risolto) si sarebbe tradotto in un fattore di mancanza di coesione sociale.  In realtà sul sud si sono concentrati, per deformazioni politico-culturali,  tutta una serie di luoghi comuni che circolano liberamente senza diritto di replica, per cui hanno reso impossibile una disamina oggettiva dei fatti così come sono realmente avvenuti.

Dopo un’attenta lettura degli archivi si evince una cosa oltremodo diversa.  All’inizio del processo unitario, il cosiddetto divario fra nord e Sud era pressappoco inesistente. Il cosiddetto “dualismo”, creato dalla “questione meridionale”, non esisteva. Nicola Zitara,  a proposito dell’unità d'Italia, parla della nascita di una colonia. Per Zitara l’Unità è stata una sciagura. Il Regno di Napoli possedeva la terza flotta mercantile più importante nel mondo, dopo Francia e Inghilterra. Per non parlare di tutti i primati che raggiunse in solitudine.
In poche parole, il sud non parte svantaggiato, come in una sorta di divario “genetico” pianificato ed invalicabile. Anzi, ancora dopo i primi dieci anni di unità d'Italia, il prodotto interno lordo regionale della Campania è migliore di quello della Lombardia. Chi non dovesse credere ai suoi occhi può leggere – a questo proprosito - un interessantissimo volume scritto a quattro mani da due insigni accademici, i Professori Vittorio Malanima e Paolo Daniele, nel quale finalmente viene a galla sulla base di dati statistici la reale situazione socio economica del tempo. Si può parlare, per contro, di una genetica diversità (da non intendersi come minorità), che vedeva i popoli del Sud più propensi all’aggregazione sociale, ad un diverso modo di intendere la società, la vita, il mondo. La necessità di sanare queste diversità, che non furono tanto economiche ma culturali, fu allora avvertita come condizione essenziale della stessa fondazione dell’Unità d’Italia. Fu proprio questo preciso motivo che il popolo meridionale fu aggredito e sconvolto nel profondo del suo animo.


La vera storia.

L’Inghilterra stava progettando l’apertura del canale di Suez e il Regno delle Due Sicilie, svincolato dai poteri  forti,  dava enormemente fastidio. Pertanto bisognava colpirlo dall’interno. E così fu. Il famigerato '48 scoppiò proprio in seguito alla spinta dei cosiddetti poteri forti che volevano impadronirsi del Mediterraneo. Il governo inglese verso tre milioni di franchi francesi a Garibaldi per realizzare l’impresa dei mille. Questa ingente somma fu versata non per "liberare" i popoli oppressi dal "Regno a negazione di Dio", ma per precisi motivi economici e geopolitici, dettati dai rapporti di forza tra potenze coloniali, imperiali e regionali. Il Regno di Napoli non era quello descritto dagli storici al servizio del potere. La Sicilia, a quel tempo, era considerata il giardino dell'antico Regno.  La sua produzione agrumicola  era assai avanzata e veniva esportata all'estero. Per non parlare della marineria. Infatti la prima nave ad inaugurare una linea diretta con Nuova York era siciliana. Ma il vanto dell’economia siciliana era rappresentato da una risorsa strategica per quell'epoca: lo zolfo.
Questa risorsa assumeva un'importanza fondamentale per la "perfida Albione", in quanto veniva  impiegato per preparare le munizioni e gli armamenti.  Fu per questo motivo che gli inglesi attraverso Lord Nelson aiutarono il Cardinale Ruffo nella guerra contro i "patrioti" napoletani che avevano  spodestato i Borbone. Garibaldi sbarcò in Sicilia con l’aiuto della mafia e quando arrivò nella penisola era già tutto conquistato, attraverso una sorta di colpo di stato distribuito sul territorio,  tanto è vero che mai passò per Lecce, Foggia, Bari, Brindisi, Taranto, ecc.  Garibaldi stesso sostenne che da Reggio Calabria a Napoli non fu sparato un sol colpo di fucile!
In pratica in ogni comune scoppiò una rivolta fomentata dalla Massoneria inglese e portata a compimento dai Carbonari e dalla borghesia liberale. Il popolo sparso nelle campagne non era a conoscenza di cosa era accaduto di preciso. Si seppe solo dopo che al Paese i "galantuomini" avevano preso il potere. Ma chi erano questi "galantuomini"? Erano i borghesi liberali iper-collegati con le logge massoniche e con la Carboneria.
Dopo la conquista del sud incominciarono i guai. Si produssero tanti guasti che ad elencarli tutti non basterebbe un intero volume di migliaia di pagine. Per questo vi furono rivolte dei contadini che divennero Briganti.
Alla commissione massari, fonte mitologica della cosiddetta unità d'italia, furono messi dei paletti: dovette dire perché c’erano queste  rivolte a sud. E dagli archivi del parlamento si evince cosa la commissione dovesse dire. 
Napolitania - Tavola Strozzi -

In realtà al Sud non si stava così male come ci hanno raccontato. E quando in tutta Europa si cominciò ad emigrare e ad ingrossare le file delle coste americane, qui al sud si resisteva.
Il regime economico che si creò dal 1734 in avanti nel Sud è qualcosa di particolare. Carlo di Borbone invece di smantellare i feudi e continuare alimentare il latifondo creo i cosiddetti usi civici (enfiteusi). Ad ogni contadino, all'atto della nascita,  veniva assegnato un podere e,  al compimento di 16 anni (che allora corrispondeva alla maggiore età) diventava conduttore dello stesso. Allo stato andava la decima parte del raccolto (la cosiddetta decima). Quindi si ebbe un'equa distribuzione delle risorse nazionali ed anche una equa distribuzione della popolazione sul territorio. Naturalmente la proprietà privata era ammessa, con una limitazione  (la cosiddetta tassa fondiaria) che impediva l’espandersi del latifondo.  Certo, vi furono truffe e raggiri. Ma il principio dell'attaccamento alla terra fu fondato.
Diversamente, la prima cosa che fecero i francesi prima e i piemontesi poi fu quella di smantellare il feudo meridionale e mettere all'incanto i terreni; e fu  in questo preciso frangente che i "galantuomini" fecero a gara per accaparrarsi i feudi migliori a spese di chi li coltivava direttamente con il sudore della propria fronte!
Con il "risorgimento", dunque,  i "galantuomini" si impossessarono definitivamente delle terre assegnate ai contadini e questi ultimi finirono come servi alle loro dirette dipendenze. Ecco cosa ha significato in pratica per il popolo questa rivoluzione giacobina in italia.

Nel 1860 numerosi paesi furono così bombardati dalle truppe piemontesi che ebbero "carta bianca" e si resero protagonisti di stragi ed  efferate rappresaglie che sono state raccontate con dovizia di particolare nel best seller di Pino Aprile, Terroni. A questo proposito fu istituita la legge Pica che rese legale ogni tipo di rappresaglia, proibendo ai pastori persino l'utilizzo dei cani nella conduzione delle greggi.
Quando i piemontesi  presero a cannonate i paesi, distruggendoli completamente, i contadini si diedero alla macchia e divennero "briganti". E il Brigante non era affatto un delinquente. Era solo un "fuori-legge", poiché si rifiutava di ottemperare a delle leggi ingiuste,  imposte da uno stato predatore e colonizzatore, come per es. la famigerata coscrizione obbligatoria. Alcuni di loro divennero legittimisti.
A questo proposito occorre definire brevemente chi era e , soprattutto, in cosa credeva il Legittimista.
Un legittimista, come del resto ogni soldato borbonico, non poteva  sparare a tradimento, non poteva infierire su di un soldato ferito. Emblematico è il caso della battaglia sul Volturno dove i soldati borbonici si tuffarono nel fiume per salvare i garibaldini in difficoltà. Il Legittimista faceva violenza per difendersi e difendere il proprio paese, ma non si rendeva protagonista di gesti efferati o di gratuite crudeltà. La qual cosa non si può registrare a carico dei soldati piemontesi. Gaeta, l'ultima fortezza ad arrendersi, è stata presa attraverso una vera e propria guerra batteriologica ante litteram, portata a compimento dai piemontesi attraverso l'inquinamento dell'acquedotto al di là delle linee.
Napoli delenda est!

Questo è se si può dire uno dei primati borbonici meno citato, ma non per questo meno importante.



Carlo di Borbone
Carlo di  Borbone ebbe un’attenzione massima al problema economico, tanto è vero che la prima cattedra di economia al mondo  fu fondata da Antonio Genovesi a Napoli nel 1754.  E’ un fatto non secondario. Vi fu un attenzione particolare di questo giovanissimo sovrano su questa “SCIENZA NUOVA” (come si chiamava allora) che avrebbe determinato poi i campi di confronto delle nazioni in futuro. Noi siamo antesignani anche in questo campo. A differenza di quanto ci viene ripetuto da anni persino all’Università, dicendo che gli inglesi sono stati i primi.  Il regno delle Due Sicilie era retto dai sovrani cattolicissimi. Questa economia, pertanto, aveva valori tradizionali secondo la famosa triade: Dio, patria e famiglia. Max Weber collegò proprio gli sviluppo del capitalismo inglese e dell’economia moderna con i dettami del Protestantesimo. Al centro della weltanschauung napoletana, per converso, vi era l’uomo e la sua dignità di essere umano, non il profitto. 
Antonio Genovesi
Tanto è vero che persino un uomo di scienze, come il già citato Antonio Genovesi, è profondamente influenzato dalle impostazioni neoplatoniche e dalle filosofie del senso morale vigenti nel Regno delle Due Sicilie. È altresì influenzato dalla concezione tomista del bene comune e dell’etica delle virtù. L’idea della eterogenesi dei fini, da un lato, e, dall’altro, l’idea antropologica di animal civile (ispirata a Giambattista Vico), entrambe al centro del suo pensiero, rendono per la prima volta esplicita una concezione cooperativa del mercato concorrenziale. È una linea argomentativa di questo genere che induce Genovesi a rovesciare il celebre adagio di Thomas Hobbes (homo homini lupus) nel suo contrario: homo homini natura amicus.  

L’economia veniva solo al terzo posto, dopo la politica e l’etica sociale della Chiesa. I Re Borbone erano i sovrani cattolicissimi e Napoli era la perfetta incarnazione di uno Stato cattolicissimo, in cui era l’aggettivo “sociale” a farla da padrone. Era il cattolicesimo sociale propugnato da Thomas More nella sua “Utopia”, che vide la sua realizzazione pratica e tangibile nell’esperimento di San Leucio, dove si realizzò compiutamente una sorta di socialismo “ante litteram”. Tutte le norme del Regno traevano linfa dalla parte sociale e politica del Vangelo. Ed il Re era il tramite fra il Vangelo ed il popolo.  Infatti i paladini del Papa saranno proprio i Borbone.  Chiaramente, oltre manica, le cose andavano molto diversamente. L'economia stava al primo posto e prevaleva sulla politica. Quest'ultima serviva solo per mettere in pratica ciò che i grandi capitalisti desideravano. Per quanto riguarda la morale bastava essere a posto con la propria coscienza e tutto finiva lì.
In pratica non esisteva un'etica sociale ma solo una morale personale che non doveva rendere conto a niente e a nessuno.
Una tale classificazione produceva nel mondo anglosassone una diversa concezione della vita e della economia. Nell'economia inglese lo sfruttamento del lavoratore era una parte inevitabile del processo capitalistico, ragion per cui non vi erano spiragli per la dignità umana del lavoratore. Basta leggersi Charles Dickens per capire di cosa si sta parlando. I lavoratori venivano sfruttati per intere giornate per paghe da fame e venivano impiegate persino donne e bambini... Quindi il vero primato del Regno borbonico era quello di aver capito  molto prima di John Maynard Keynes che lo Stato doveva avere un ruolo importante nella economia del Paese.  Fu proprio per questo motivo che a Pietrarsa e a Mongiana si lavorava per sole otto ore, rispetto alle dodici di Manchester o di Liverpool.  E le donne erano pagate allo stesso modo degli uomini e i fanciulli erano esonerati dal lavoro. E ciò, evidentemente, non perchè qui gli imprenditori fossero più "bravi" rispetto ai loro colleghi anglosassoni. Qui, non si vuole affermare una sorta di razzismo al contrario. Se nel regno delle due Sicilie si lavoravano otto ore rispetto alle 12 di Manchester, ciò era dovuto alla presenza di uno Stato regolatore dell'economia; e, soprattutto, al fatto importantissimo che alla base dell'organizzazione dell'antico regno vi era l'etica sociale e non l'economia!  Qualcuno potrebbe obiettare che nei racconti di Pirandello si trovano ampie tracce di lavoro minorile espletato nelle miniere di zolfo siciliane. E’ vero! Ebbene, si trattava, nemmeno a farlo apposta, delle solfare siciliane date in concessione agli inglesi dopo che questi ultimi aiutarono il Cardinale Ruffo a riconquistare Napoli contro i francesi.  In quelle solfare veniva appunto applicato il modello lavorativo inglese che impiegava già allora manodopera a basso costo, senza tener in minimo conto la tenera età dei fanciulli.  Fu anche per questo motivo che Ferdinando II revocò  tale concessione di queste solfare. Ed è proprio in seguito a ciò che gli inglesi scateneranno la più grande guerra contro il Regno delle Due Sicilie. Da questo discorso ne potrebbe venir fuori una classica obiezione secondo cui questo tipo di economia poteva andar bene in un regime di protezionismo autarchico, chiuso al commercio con l’estero, poiché non era possibile far concorrenza ai paesi anglosassoni. Ed anche questo è opinabile; poiché se è vero (come è vero) che la manodopera assume un costo rilevante alla fine del processo produttivo, è altrettanto vero che le condizioni favorevolissime di lavoro avevano evitato alienazioni, pause esagerate nel lavoro e, soprattutto, un minor spreco di materie prime. In conclusione, facendo le somme, il prodotto aveva pressappoco lo stesso costo di produzione. Questo motivo spiega anche perché la flotta mercantile napoletana era una delle prime del mondo e girava ovunque vendendo i nostri prodotti! Altro che autarchia!   In Sicilia, vi erano, all’epoca, piantagioni di cotone!  A San Leucio  vi erano le migliori seterie d’Europa. Si esportavano merci in Sud America, in Nord America e persino in Australia, in barba agli inglesi! Ci sono i dati a confermarlo. Vi era anche una sorta di spionaggio industriale. Per esempio si andava in Indonesia a vedere dove gli inglesi compravano le spezie e poi si faceva loro concorrenza. Ed è per questo che gli inglesi dovettero correre ai ripari  Se si fosse diffusa la forma mentis dell’Antico Regno, tutta l’Europa, prima o poi, ne sarebbe rimasta contagiata e l’Inghilterra avrebbe perso irrimediabilmente la sua leadership. Per tutti questi motivi il Regno di Napoli non solo andava combattuto con ogni mezzo, anche illecito, ma andava cancellata ogni traccia del suo essere nella Storia. Questo è in breve il motivo di tanta acrimonia provata dagli inglesi contro il Regno di Napoli.

Ma veniamo all'oggi. Dinamiche storiche e culturali si sono intrecciate con interessi geopolitici ed economici, ma soprattutto con la mancanza di rinnovamento politico fra le classi dirigenti. Tali elementi hanno inciso negativamente sulla formazione dei meccanismi rappresentativi, e hanno fatto si che non vi fosse una vera unità politico-culturale, ma solo un’unità meccanica, fattuale, imposta coercitivamente. L’unità d’Italia, insomma, si è realizzata a costi di grandissimi sacrifici imposti al meridione sia sotto il profilo economico sia dal punto di vista politico istituzionale sia soprattutto sotto il profilo psicologico innestando una sorta di complesso di inferiorità.
Le istanze autonomistiche furono mortificate da una sorta di omologazione socioculturale, imposta dallo Stato centrale, che voleva unificare due realtà marcatamente differenziate. La consapevolezza delle ricadute sociale ed economiche della questione meridionale da parte dello Stato Sabaudo è oggetto delle pelose riflessioni di studiosi meridionali asserviti al potere fra i quali: Giustino Fortunato,  Don Luigi Sturzo, Antonio Gramsci, Guido Dorso.  Costoro hanno indicato nel superamento della storica separatezza (?), la condizione essenziale per realizzare l’Unità d’Italia.
La storia del mezzogiorno d’Italia è costellata da leggi speciali, dalla nascita di associazioni a tutela degli interessi meridionali. Tutte cose assolutamente non necessarie se si fosse evitato di depredare, dissipare  sistematicamente ed incessantemente  le ricchezze del nostro Mezzogiorno.
Per tali precisi motivi occorre indispensabilmente riesaminare tutte le analisi sin qui compiute. La nostra terra soffre per le speculazioni di cui è incessantemente oggetto, sin dalla famigerata unità d'Italia.
Il nostro popolo soffre per l’elevata diffusione del lavoro nero e irregolare, per l’elevata fuga dei suoi giovani verso il nord o, peggio, verso l’estero. Tutti ricorderanno le parole di Fanfani allorquando – negli anni ‘70-  intervenne per sedare la rivoluzione di Reggio dicendo: “’mparatev’è lingue e andate all’estero”. Il sud è assai carente di infrastrutture ed un sistema di infrastrutture efficiente è fondamentale per la crescita di un paese. Soltanto dal definitivo superamento di queste condizioni potrà iniziare un duraturo sviluppo di crescita autonomo.“Non saranno mai gli altri i risolutori dei problemi del sud” - scrive Domenico Ficarra.
Il mezzogiorno subisce la presenza opprimente della criminalità organizzata che incide negativamente sul tessuto socio economico, con ricadute non solo di ordine economico e fiscale, ma soprattutto di ordine morale e sociale. S’impone adesso una scelta cruciale: o si prendono in mano le redini del proprio destino o si finisce in bocca alla perfida albione e agli speculatori internazionali, costringendo il nostro popolo ad una nuova stagione di emigrazione. La decisione spetta a noi,  il riscatto passa esclusivamente per le nostre mani. Bisogma dire di no non solo alla mafia e alla camorra, ma anche a questo stato centralista e dissipatore, creatore di ogni nequizia a carico dell’onesto popolo meridionale.
©  Aramis

giovedì 22 settembre 2011

Servi della menzogna

Siamo in una fase molto interlocutoria. Quella che sembrava un'infondata eresia, una perdita di tempo, una questione "provincialistica", si è rivelata - nei fatti -  un "must" per chiunque voglia occuparsi anche della cosiddetta "unità d'Italia".
Stiamo assistendo ad una "controoffensiva" dei servi della menzogna.
Qui si sono schierati i maggiori mass-media italiani: Corriere dellla Sera, La Repubblica, La Stampa. In prima fila, dunque, c'è il partigiano, Giorgio Bocca, sempre pronto a sputare sui meridionali, rei - a suo dire - di ogni nefandezza.
Perchè le vittime di Marzabotto o di Sant'anna di Stazzena vengono ricordate e quelle di Acerra no?
Eppure entrrambe sono state compiute dall'esercito tedesco durante l'ultimo conflitto mondiale.
Evidentemente perchè si era abituati a considerare il Sud come terra di conquista: prima da parte di Garibaldi, poi dell'esercito piemontese, e poi dai tedeschi e dagli americani. Tutto veniva concesso alle truppe occupanti, dallo stupro di massa, al saccheggio fino ad ogni sorta di strage, ivi compresa quella degli animali.
Purtroppo in questa sorta di "dimenticanza" figurano firme illustri: come il calabrese Lucio Villari, storico, nonchè collaboratore de il quotidiano "la Repubblica".
Oppure il prof. Ernesto Galli della Loggia che non perde occasione per denigrare il i Borbone e chi li difende.
Ciò nonostante, piaccia o non piaccia, costoro non hannno alcuna presa sul popolo italico,  men che meno su quello meridionale.
Chi scrive di Mezzogiorno non può che partire da questo periodo storico: dall'unificazione d'italia. Da quel momento inizia l'emigrazione dei meridionali al nord, inizia l'impoverimento del sud rispetto al nord. In altre parole, da quel preciso momento storico inizia il declino di un paese sotto tutti i punti vista. A questo punto occorre domandarsi quali sono i veri motivi che hanno spinto il riluttante Cavour a premere perchè si realizzasse la cosiddetta unità d'Italia. In primis, il piemomte era fortemente indebitato con le banche straniere (Rotschild).  Pensiamo, per esempio, alla famigerata impresa piemontese in Crimea. Lo Stato Piemontese chiese ed ottenne dalle banche un grosso prestito per armare il suo esercito affinchè si schierasse a fianco dell'Inghitlterra contro la Russia. E indovinate un pò chi ha pagato quel debito?
Siamo stati noi del Sud a pagare quel debito!
Costoro accusano i neo borbonici di aver diviso il paese. E' una falsità! il Paese è già diviso. Lo vediamo dalle infrastrutture, dagli ospedali, dalle scuole, dal disastro ambientale ecc E se, adesso, è diviso a nostro svantaggio, ciò lo dobbiamo proprio alla famigerata unità d'Italia!

©  Aramis

giovedì 21 luglio 2011

Fascismo e Regno delle Due sicilie


Per la prima volta da quando sono in rete mi è capitato di trovare strane commistioni fra un certo neofascismo d'antan e la riscoperta dell'antico Regno. Sinceramente sono rimasto basito, poiché se c'è una cosa che scandalizza la gente del sud è proprio l'accostamento fra fascismo e meridione. Il Fascismo fu nazionalista e accentratore, contro ogni separatismo,  tanto che inglobò al suo interno proprio il nazionalismo. Fece proprie le "conquiste" del Risorgimento e Mussolini entrò a buon diritto fra i "Padri della Patria", facendo buona compagnia a Cavour, Mazzini e Garibaldi. Per non parlare poi del carattere assolutamente pacifico ed antimilitarista del Sud Italia per nulla portato ad essere "forgiato" così come imponeva il "figlio del fabbro". Ma i torti non si limitano al periodo del suo governo.  Egli commise errori imperdonabili anche prima. Penso ad esempio alla infausta scelta di cambiare la sua posizione da non interventista a interventista convinto in occasione della Grande Guerra. La  campagna interventista, oltre a regalare lucrose commesse all'industria bellica italiota (del Nord), produsse un copiosissimo spargimento di sangue, senza che il popolo italiano potesse beneficiare di alcunchè. Sangue versato in massima parte proprio dal Sud Italia, in una guerra non sua. All'Italia, infatti, sarebbe bastato rimanere neutrale per avere a costo zero ciò che le fu concesso a fronte di un ingentissimo numero di vite umane. Non solo. Ancora oggi, sfruttando la credulità popolare, si narrano imprese  altisonanti, solo per mascherare incompetenza e malgoverno. Infatti, tanto si è parlato (e si continua a farlo) delle magnifiche opere di bonifica portate a termine nelle paludi pontine. Si dimentica però di dire con altrettanta franchezza che il regime assegnò le nuove terre appena bonificate quasi ed esclusivamente a Settentrionali. Viceversa chi, per secoli, ci aveva campato di stenti, lasciando nelle paludi tantissimi morti per malaria, si vide spodestato da gente del nord. In buona sostanza si ripeté un copione già scritto durante l'inizio del '900. Nel 1906  il ministro (per competenza) si chiamava - nemmeno a farlo apposta  - Pantano. Costui, senza tenere in minimo conto il lavoro degli indigeni, assegnò gli appalti di bonifica a cooperative del nord Italia. E dire che esistevano uomini e competenze anche al Sud ma non furono tenute in alcuna considerazione.

Sempre rimanendo in tema di agricoltura, giova ricordare che Mussolini, contro ogni logica, impose la produzione  intensiva del grano, solo per favorire alcuni proconsoli del P.N.F., anche in zone con una diversa vocazione colturale, ragion per cui, nei primi anni trenta, l'Italia fu costretta ad importare  (per la prima volta) olio di oliva a fronte della scarsa produzione nazionale! Ancora. Questa assurda direttiva aumentò esponenzialmente il divario fra il Nord e Sud del Paese, poiché aumentò il reddito pro-capite degli abitanti del Nord italia a scapito di quelli meridionali. All'uopo vi è un recente studio a cura di due illustri accademici: il Professori Paolo Malanima  (Istituto ISSM-CNR - Napoli)  e Vittorio  Daniele (Università “Magna Græcia”- Catanzaro)   che  dimostrano -senza tema di smentita - come nel decennio compreso  fra il 1928 e il 1938, quindi nel pieno dei regime fascista, il popolo meridionale subì un netto peggioramento delle condizioni di vita. A seguito di ciò, nel volgere di pochi lustri, anche in seguito a minacce di vario ordine e grado, la campagne meridionali furono dissestate  da una aberrante azione di  spiantamento, operata con una furia tipica di un regime tanto irrazionale quanto stupido. Le pregiate colture autoctone del sud furono divelte e sostituite da altre meno adatte al clima mediterraneo e per questo anche meno redditizie. Poi furono ripristinate e sradicate nuovamente, senza alcuna cognizione di causa. Per tal via, vigneti, oliveti ed agrumeti, la cui bontà era universalmente riconosciuta,  furono distrutti, senza che in cambio fosse prodotto nulla di equivalente e fruttuoso. Occorre ricordare che si parla di interventi che comportano ingenti investimenti, sia in termini di lavoro sia in termini di tempo e danaro. L'ulivo, tanto per fare qualche esempio, abbisogna di molto tempo prima che sia pronto a dar frutto. In tal modo tutte le colture autoctone furono notevolmente ridimensionate, fino a ridurre sul lastrico le migliori energie imprenditoriali agrarie.
Invece, come spesso accade nella storia del nostro paese, fu proprio durante il disprezzato Regno delle Due Sicilie che il sud vide fiorire un'agricoltura diversificata e specializzata. E a chi fosse interessato non resta che leggere importanti opere in materia.

Per non parlare poi delle continue vessazioni che dovettero subire i braccianti agricoli, rei di possedere  unicamente le braccia... Nel tavoliere delle Puglie c'era il famigerato Giuseppe Caradonna, capo dei "mazzieri" di Cerignola. Costoro inaugurarono la mefitica pratica della bastonatura al servizio del latifondo, che era solito usare le maniere forti verso quanti non si piegavano ai soprusi dei proprietari terrieri. Il figlio Giulio (deputato per otto legislature nel MSI) seguì le orme paterne, ma invece che sui braccianti si scagliò  sugli studenti a Valle Giulia durante il 1968. Dopo questa "cura" il reddito pro-capite dei meridionali calò in modo esponenziale, mandando molte famiglie sul lastrico.  Sul versante dello sviluppo bisogna annoverare la bocciatura di tutti i progetti che avrebbero dovuto portare l'energia elettrica al Sud, solo per evitare di colpire i grandi gruppi industriali settentrionali, lobbies palesi del P.N.F. Ed è proprio nel decennio 1928-1938 che il divario nord-sud cresce a dismisura come dimostrato da recenti studi in materia. Anche per questo motivo l'esodo dei meridionali crebbe parecchio. Il regime, accortosi di questo stillicidio continuo di famiglie, istituì il Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione interna. Ma, a differenza di quanto si sarebbe portati a pensare, il compito di questo famigerato istituto non  fu quello di favorire migliori condizioni per chi si apprestava a trovar fortuna altrove. Anzi, accadde proprio il contrario. La politica del fascio non solo impoverì il sud, spingendo i senza terra ad emigrare altrove, ma, paradossalmente,  impedì, che questi spostamenti potessero aver luogo. Non così avvenne per i settentrionali che, viceversa, ricevettero agevolazioni per recarsi al Sud e ricoprire pure incarichi di rilievo. All'estero, fra l'altro, vennero messe a punto delle forti restrizioni che impedirono il fluire di nuovi immigrati. Punte di intolleranza vennero poi raggiunte dopo la crisi del '29. Il governo italiano vi aggiunse un'inconcepibile misura restrittiva che vietò persino il ricongiungimento famigliare degli italiani all'estero. A ben vedere, dunque, si tratta di un logoro copione che si ripete ancor 'oggi con i lavoratori immigrati.

All'uopo sarebbe interessante rileggere le copie de "il Popolo d'Italia" del 1928 dove Mussolini inveiva contro le baraccopoli dei meridionali...che nascevano come funghi intorno alle grandi città del nord. Allora, dunque, gli africani eravamo noi. Alla fine del secondo conflitto mondiale la situazione era catastrofica per tutti. Ma per il sud la situazione era ancora peggiore. Con la divisione in due dell'Italia è ancora il Nord ad uscirne meno malconcio. Infatti la creazione di due aree monetarie e la diversa politica adottata, ingenerò un'iperinflazione al Sud che invece al nord  non si ebbe affatto.   All'uopo gioverebbe ricordare ai nostri "cari" fascistelli che, a ogni piè sospinto, reclamano la cosiddetta "sovranità monetaria" tre date in particolare:
  1. La  Banca d'Italia nasce nel 1893 con la fusione della Banca del Regno (già privata delle sue abbondanti riserve auree) e di altre banche toscane e fino al 1925 concorre con il banco di Sicilia e il Banco Di Napoli alla cosiddetta "emissione monetaria".
  2. Nel 1926 la Banca d'Italia acquisisce il monopolio della emissione monetaria, desautorando così il Banco di Napoli e quello di Sicilia del diritto di emettere moneta.
  3. Alla vigilia del secondo conflitto mondiale e, precisamente tra il marzo e il maggio del 1940, furono trafugati dal caveu della Banca d'Italia circa 25 tonnellate in lingotti d'oro. Tale immenso carico fu traspostato negli USA via mare, a bordo del piroscafo Rex, in quattro viaggi. Tale carico arrivò nella casse della Federal Reserve, famigerata Banca Centrale, indicata dai neofascisti come il centro dell'usurocrazia mondiale,
Inoltre, come ha giustamente sottolineato lo studioso Marco Saba, nella sua monumentale opera dedicata allo strapotere delle Banche,  durante il fascismo il popolo venne "invitato" a "donare" l'oro alla patria. Quell'oro divenne parte della riserva della Banca Centrale e dovrebbe essere restituito al suo legittimo proprietario: il popolo. Quindi, in conclusione, anche in un campo importantissimo come quello economico e monetario il Duce si comportò malissimo, dimostrando arroganza e pressappochismo, esautorando il sud dal diritto di emettere moneta, avvalorando la truffa colossale legata al signoraggio bancario e, soprattutto, facendo cadere miseramente il falso mito di socializzatore.

©  Aramis

lunedì 6 giugno 2011

Clarus

Mi chiedo e vi chiedo: con quale coraggio (nel bene come nel male) un periodico cattolico può rivendicare un contributo dei cattolici al processo unitario del nostro Paese? Mi riesce difficile pensare che un dotto editorialista di un mensile cattolico sia all'oscuro di quanto accadde prima e dopo la famigerata "unità d'Italia". Mi riesce difficile credere che chi ricorda la figura del gesuita Saverio Bettinelli non conosca la storia del Liceo classico di Napoli, sorto in seguito all'abolizione della scuola gesuita, la cui proprietà fu confiscata proprio da Giuseppe Garibaldi appena entrato a Napoli il sette settembre 1860! Per non parlare di tutti i beni di cui fu privata Santa Romana Chiesa, ovviamente. Ancora oggi, in pieno revival risorgimentale, possiamo leggere sul quotidiano "Avvenire" articoli molto interessanti che non si connotano certo per essere filo risorgimentali. Perché allora qui avviene il contrario? Perché qui, in un numero quasi monografico, dedicato ai centocinquant'anni dell'unità d'Italia, invece di rivendicare fieramente la posizione tradizionale della Chiesa cattolica, si cerca di dare una visione in linea con l'ottica patriottarda?
Eppure, l'autorevole rivista «Civiltà Cattolica» scrisse che il numero dei cadaveri lasciati dai "liberatori" superò quello dei voti al plebiscito...voti per altro strappati con la forza "cogente" del  pugnale del moschetto.
Certo, adesso è abbastanza facile schierarsi con la vulgata risorgimentale, salire sul carro dei vincitori e, magari, far passare pure l'idea di essere controcorrente... di esser stati sempre dalla parte del "giusto"...Ed è ancor più facile cercare, attraverso il ripescaggio di personaggi minori o che sicuramente sarebbero stati ai margini in altri periodi storici, di conquistarsi una "patente" risorgimentale di tutto rispetto e, soprattutto, adeguata alla bisogna dell'attuale momento storico. In realtà, a voler esser sinceri, bisogna aspettare l'arrivo del Cav. Benito Mussolini al governo affinché tutte le intransigenze e i notevoli dissapori (che si erano creati a ridosso dell'unità d'Italia) fossero definitivamente sedati. Ecco, perché, viceversa, non si ha il coraggio di citare questo evento, come reale catalizzatore dell'Unità d'Italia? Non sarebbe questa ( si) una scelta controcorrente?
©Pierre Aramis alle ore 17:49 su Splinder

sabato 4 giugno 2011

I "DON ABBONDIO" di casa nostra


E' davvero penoso osservare come i cosiddetti pastori d'anime, depositari di un'antica tradizione della spiritualità umana, nonché seguaci e vicari del Cristo sulla terra, abbiano, nel corso dei secoli,  sempre di più percorso l'indecoroso sentiero del trasformismo più ipocrita, all'insegna del comodo quieto vivere, abdicando, sovente, le giuste credenze alle mode del momento e, soprattutto, obbedendo ai mefitici diktat del Sistema economico imperante. E qui non citerò tutti gli eventi principali che ne hanno caratterizzato il tracciato. Ciò avviene a tutti i livelli, a cominciare dal Papa, per finire ai parroci di campagna, passando per i vescovi, ovviamente. E' stato veramente spiacevole leggere, qualche mese fa, un'intervista rilasciata dal vescovo della diocesi caiatina ad un giornalista(?) locale che ha ne etero-diretto il discorso, lasciando all'alto prelato poco spazio per affermare una verità scomoda per tutto l'establishment pseudo-culturale filo-massonico. Con quale coraggio si possono dimenticare tutte le nefandezze compiute dall'esercito savoiardo a danno delle popolazioni meridionali? Ci dimentichiamo troppo frettolosamente che a Pontelandolfo e Casalduni furono compiuta le più feroci e criminali rappresaglie che la storia ha conosciuto nei tempi moderni. O del fatto, nient'affatto trascurabile, che Pio IX non riconobbe mai il nascente stato italiano, scomunicando la famiglia Savoia, i massoni, i giacobini e tutti coloro che fomentarono la rivolta contro Dio? Per non parlare poi di ciò che fecero proprio contro il Santo Padre e della comunità dei fedeli.
Ma ciò basta a capire come il potere costituito (soprattutto quello economico) possa far credere a molti di avere la pretesa di essere "re" non soltanto a casa propria  ma anche in quella d'altri, invadendo  uno stato  legittimo senza nemmeno una formale dichiarazione di guerra, portando morte e distruzione, per generazioni, con il pretesto di portare "ordine" e "civiltà", occultando volutamente le volontà predatorie e di rapina che invece posero in atto.
Ma forse ciò che riesce ancora più fastidioso è l'ipocrisia con cui si parla ancora dei più deboli, dei "fratelli meno fortunati" come se l'ingiustizia sociale fosse dovuta al fato o alla fortuna, mentre essa ha dei precisi mandanti e responsabili, in carne ed ossa, con nomi e cognomi, non solo italiani, e parlare delle vittime soltanto come se fossero stati soltanto "sfortunati", risulta essere davvero una cosa di un cinismo sconcertante...
Così come è cinico e fazioso attribuire ai "patrioti del sud", che difesero strenuamente la terra dei loro avi, il famigerato appellativo di "Briganti", dimenticando così le reali cause che li portarono alla  macchia,  o che esistono (e sono esistite) innumerevoli forme di terrorismo in TUTTE le parti del mondo se non addirittura a volte presenti anche sotto forma di "terrorismi di Stato".

Io non ho la saggezza dell'anziano prelato (si dice infatti che le persone anziane siano più sagge, anche se secondo me questo è soltanto un luogo comune perchè esistono bambini "antichi" quanto il mondo e, allo stesso tempo, anziani sprovveduti come appena nati...) ma nella mia giovane età ho conosciuto il valore  immenso di cose quali la lealtà e la giustizia... anche quando tali cose possono andare contro i nostri esclusivi interessi...forse certe cose non si imparano, ma ci si nasce avendoli dentro, chissà...


©  Aramis