sabato 31 dicembre 2011

IO NON FESTEGGIO!

Il Mezzogiorno era definito da De Pretis: “singolarmente ricco”  da Minghetti: “il paese più bello e più fertile”,  da Quintino Sella  “eccezionalmente cospicuo”,  e queste opinioni erano avvalorate dai meridionali. “Troppo favorito dalla natura” - aveva detto Ruggero Bonghi. Il Mezzogiorno era per Petruccelli della Gattina, esule in Piemonte, “una  terra in cui Iddio esaurì la sua opulenza di Creazione”

Il 2011 che, per fortuna,  sta per finire, è stato l’anno di una commemorazione solenne: i 150 anni dell’unità d’Italia. Qualora qualcuno se ne fosse dimenticato, non se ne faccia un cruccio… ci sarà sempre qualche “buona” istituzione repubblicana pronta a ricordarglielo incessantemente. Nel non lontanissimo 1989, si celebrò un altro evento nefasto: il Bicentenario della Rivoluzione Francese. Per questo non di risorgimento si dovrebbe parlare ma di Rivoluzione in Italia. La rivoluzione giacobina, sulla scorta delle idee illuministiche, portò, sulla punta delle baionette, senza suffragio alcuno, le idee anticristiane che rivoluzionarono non solo il nostro paese ma anche l’Inghilterra, gli Stati Uniti d’America, il mondo tutto. Il popolo, intanto, restava quello che era, fermamente attaccato alla chiesa e alla Religione; le élites, in massima parte, si abbeverarono ai lumi sulfurei  accesi nei paesi anglosassoni  dal protestantesimo, si affiliarono alle logge massoniche condannate dalla Chiesa, eppure sparse in tutto il mondo. Queste ultime, sotto la protezione interessata e complice di molte teste coronate, misero mano alle riforme: soppressione di tanti conventi e incameramento dei beni ecclesiastici, regalismo, giurisdizionalismo anticuriale, soppressione dell’inquisizione, ecc. In alcuni Stati, addirittura, anche la rivoluzione giansenista. Le idee illuministe portarono dunque distruzione e morte in un Italia indebolita e divisa, trovando però di fronte l’insorgenza delle forze popolari che si contrapposero fermamente all’invasione massonico-piemontese. Ebbene, questi due eventi, nonostante il lasso di tempo e le inevitabili differenze, mantengono uno strettissimo collegamento ai fini del sovvertimento generale dei costumi e della società occidentale. Hanno ragione coloro che ritengono inopportuno il richiamo alle radici cristiane dell'Europa: esse, allo stato dei fatti, sono state sradicate.  Ma qui non vogliamo aprire una inutile digressione.
La restaurazione monarchica fece l’enorme sbaglio di lasciare al proprio posto la maggior parte di queste “élites” (segretamente affiliate alle logge), ignorando il virus massonico che avevano ormai assimilato... La classe dirigente del Regno delle Due Sicilie era ormai stata plagiata dall’illuminismo, poiché a Napoli come a Palermo o a Cosenza, la Massoneria aveva gettato i semi della zizzania anticristiana. Solo pochi, fra quelle teste coronate, impararono la lezione.
E, così, con la casacca rivoltata, le medesime “élites”, impregnate dall’illuminismo luciferino dei tagliatori di teste francesi e dagli usurai liberisti inglesi, ripresero il lavoro di prima, ripensando, a come evitare nuovamente il fallimento. Il virus inoculato dall’occupazione straniera avrebbe ridato linfa letale ai suoi bubboni purulenti. I nostri “padri della Patria”, nonché i loro epigoni, emuli ed ammiratori  non sono forse la quintessenza del patriottismo e dell’italianità? E com’è che allora che questi “patrioti di oggi e di ieri detestano cordialmente l’Italia reale, la sua storia, le sue tradizioni, il suo carattere, il suo popolo, la sua religione? Il termine stesso di Risorgimento, come quello di Rinascimento d’altronde, indica un disprezzo totale di ciò che precedeva  queste ere “felici”: prima del Rinascimento era la barbarie del Medioevo, prima del Risorgimento la morte nazionale  della controriforma, per cui secondo questi patrioti l’Italia nasce nel 1861 o, meglio nel 1870! Dimenticano cosa fece il Papa e, soprattutto, dimenticano cosa fecero i Borbone… Infatti la prima idea della nazione italiana non nasce con Cavour, o con i rivoluzionari del ‘48, ma a Bitonto, in Puglia. Infatti a Bitonto c’è ancora un obelisco bellissimo dove Carlo di Borbone nel 1734  dice: “Qui vengono gettate le basi della nazione italiana, delle libertà degli italiani”. Unificazione non significava unire meccanicamente la Calabria (o le Calabrie come si diceva allora), alla Puglia (o alle Puglie),  al piccolo Piemonte. Tutt’altro.  Per questi motivi fu solamente il popolo a pagare. Solo coloro che rimasero estranei alla rivoluzione giacobina in Italia si opposero strenuamente e pagarono con il sangue il frutto marcio dell’occupazione savoiarda.

Secondo la storia ufficiale il divario economico fra nord e sud non si limitava all’industrializzazione, alla mancanza d’infrastrutture, del livello d'istruzione ecc. ma si allargava a tutti gli aspetti della vita sociale. Il sud avrebbe continuato a vivere in una sorta di “medioevo”, entro cui persino l’agricoltura  scarseggiava.  Questo enorme divario economico-culturale preesistente (e mai risolto) si sarebbe tradotto in un fattore di mancanza di coesione sociale.  In realtà sul sud si sono concentrati, per deformazioni politico-culturali,  tutta una serie di luoghi comuni che circolano liberamente senza diritto di replica, per cui hanno reso impossibile una disamina oggettiva dei fatti così come sono realmente avvenuti.

Dopo un’attenta lettura degli archivi si evince una cosa oltremodo diversa.  All’inizio del processo unitario, il cosiddetto divario fra nord e Sud era pressappoco inesistente. Il cosiddetto “dualismo”, creato dalla “questione meridionale”, non esisteva. Nicola Zitara,  a proposito dell’unità d'Italia, parla della nascita di una colonia. Per Zitara l’Unità è stata una sciagura. Il Regno di Napoli possedeva la terza flotta mercantile più importante nel mondo, dopo Francia e Inghilterra. Per non parlare di tutti i primati che raggiunse in solitudine.
In poche parole, il sud non parte svantaggiato, come in una sorta di divario “genetico” pianificato ed invalicabile. Anzi, ancora dopo i primi dieci anni di unità d'Italia, il prodotto interno lordo regionale della Campania è migliore di quello della Lombardia. Chi non dovesse credere ai suoi occhi può leggere – a questo proprosito - un interessantissimo volume scritto a quattro mani da due insigni accademici, i Professori Vittorio Malanima e Paolo Daniele, nel quale finalmente viene a galla sulla base di dati statistici la reale situazione socio economica del tempo. Si può parlare, per contro, di una genetica diversità (da non intendersi come minorità), che vedeva i popoli del Sud più propensi all’aggregazione sociale, ad un diverso modo di intendere la società, la vita, il mondo. La necessità di sanare queste diversità, che non furono tanto economiche ma culturali, fu allora avvertita come condizione essenziale della stessa fondazione dell’Unità d’Italia. Fu proprio questo preciso motivo che il popolo meridionale fu aggredito e sconvolto nel profondo del suo animo.


La vera storia.

L’Inghilterra stava progettando l’apertura del canale di Suez e il Regno delle Due Sicilie, svincolato dai poteri  forti,  dava enormemente fastidio. Pertanto bisognava colpirlo dall’interno. E così fu. Il famigerato '48 scoppiò proprio in seguito alla spinta dei cosiddetti poteri forti che volevano impadronirsi del Mediterraneo. Il governo inglese verso tre milioni di franchi francesi a Garibaldi per realizzare l’impresa dei mille. Questa ingente somma fu versata non per "liberare" i popoli oppressi dal "Regno a negazione di Dio", ma per precisi motivi economici e geopolitici, dettati dai rapporti di forza tra potenze coloniali, imperiali e regionali. Il Regno di Napoli non era quello descritto dagli storici al servizio del potere. La Sicilia, a quel tempo, era considerata il giardino dell'antico Regno.  La sua produzione agrumicola  era assai avanzata e veniva esportata all'estero. Per non parlare della marineria. Infatti la prima nave ad inaugurare una linea diretta con Nuova York era siciliana. Ma il vanto dell’economia siciliana era rappresentato da una risorsa strategica per quell'epoca: lo zolfo.
Questa risorsa assumeva un'importanza fondamentale per la "perfida Albione", in quanto veniva  impiegato per preparare le munizioni e gli armamenti.  Fu per questo motivo che gli inglesi attraverso Lord Nelson aiutarono il Cardinale Ruffo nella guerra contro i "patrioti" napoletani che avevano  spodestato i Borbone. Garibaldi sbarcò in Sicilia con l’aiuto della mafia e quando arrivò nella penisola era già tutto conquistato, attraverso una sorta di colpo di stato distribuito sul territorio,  tanto è vero che mai passò per Lecce, Foggia, Bari, Brindisi, Taranto, ecc.  Garibaldi stesso sostenne che da Reggio Calabria a Napoli non fu sparato un sol colpo di fucile!
In pratica in ogni comune scoppiò una rivolta fomentata dalla Massoneria inglese e portata a compimento dai Carbonari e dalla borghesia liberale. Il popolo sparso nelle campagne non era a conoscenza di cosa era accaduto di preciso. Si seppe solo dopo che al Paese i "galantuomini" avevano preso il potere. Ma chi erano questi "galantuomini"? Erano i borghesi liberali iper-collegati con le logge massoniche e con la Carboneria.
Dopo la conquista del sud incominciarono i guai. Si produssero tanti guasti che ad elencarli tutti non basterebbe un intero volume di migliaia di pagine. Per questo vi furono rivolte dei contadini che divennero Briganti.
Alla commissione massari, fonte mitologica della cosiddetta unità d'italia, furono messi dei paletti: dovette dire perché c’erano queste  rivolte a sud. E dagli archivi del parlamento si evince cosa la commissione dovesse dire. 
Napolitania - Tavola Strozzi -

In realtà al Sud non si stava così male come ci hanno raccontato. E quando in tutta Europa si cominciò ad emigrare e ad ingrossare le file delle coste americane, qui al sud si resisteva.
Il regime economico che si creò dal 1734 in avanti nel Sud è qualcosa di particolare. Carlo di Borbone invece di smantellare i feudi e continuare alimentare il latifondo creo i cosiddetti usi civici (enfiteusi). Ad ogni contadino, all'atto della nascita,  veniva assegnato un podere e,  al compimento di 16 anni (che allora corrispondeva alla maggiore età) diventava conduttore dello stesso. Allo stato andava la decima parte del raccolto (la cosiddetta decima). Quindi si ebbe un'equa distribuzione delle risorse nazionali ed anche una equa distribuzione della popolazione sul territorio. Naturalmente la proprietà privata era ammessa, con una limitazione  (la cosiddetta tassa fondiaria) che impediva l’espandersi del latifondo.  Certo, vi furono truffe e raggiri. Ma il principio dell'attaccamento alla terra fu fondato.
Diversamente, la prima cosa che fecero i francesi prima e i piemontesi poi fu quella di smantellare il feudo meridionale e mettere all'incanto i terreni; e fu  in questo preciso frangente che i "galantuomini" fecero a gara per accaparrarsi i feudi migliori a spese di chi li coltivava direttamente con il sudore della propria fronte!
Con il "risorgimento", dunque,  i "galantuomini" si impossessarono definitivamente delle terre assegnate ai contadini e questi ultimi finirono come servi alle loro dirette dipendenze. Ecco cosa ha significato in pratica per il popolo questa rivoluzione giacobina in italia.

Nel 1860 numerosi paesi furono così bombardati dalle truppe piemontesi che ebbero "carta bianca" e si resero protagonisti di stragi ed  efferate rappresaglie che sono state raccontate con dovizia di particolare nel best seller di Pino Aprile, Terroni. A questo proposito fu istituita la legge Pica che rese legale ogni tipo di rappresaglia, proibendo ai pastori persino l'utilizzo dei cani nella conduzione delle greggi.
Quando i piemontesi  presero a cannonate i paesi, distruggendoli completamente, i contadini si diedero alla macchia e divennero "briganti". E il Brigante non era affatto un delinquente. Era solo un "fuori-legge", poiché si rifiutava di ottemperare a delle leggi ingiuste,  imposte da uno stato predatore e colonizzatore, come per es. la famigerata coscrizione obbligatoria. Alcuni di loro divennero legittimisti.
A questo proposito occorre definire brevemente chi era e , soprattutto, in cosa credeva il Legittimista.
Un legittimista, come del resto ogni soldato borbonico, non poteva  sparare a tradimento, non poteva infierire su di un soldato ferito. Emblematico è il caso della battaglia sul Volturno dove i soldati borbonici si tuffarono nel fiume per salvare i garibaldini in difficoltà. Il Legittimista faceva violenza per difendersi e difendere il proprio paese, ma non si rendeva protagonista di gesti efferati o di gratuite crudeltà. La qual cosa non si può registrare a carico dei soldati piemontesi. Gaeta, l'ultima fortezza ad arrendersi, è stata presa attraverso una vera e propria guerra batteriologica ante litteram, portata a compimento dai piemontesi attraverso l'inquinamento dell'acquedotto al di là delle linee.
Napoli delenda est!

Questo è se si può dire uno dei primati borbonici meno citato, ma non per questo meno importante.



Carlo di Borbone
Carlo di  Borbone ebbe un’attenzione massima al problema economico, tanto è vero che la prima cattedra di economia al mondo  fu fondata da Antonio Genovesi a Napoli nel 1754.  E’ un fatto non secondario. Vi fu un attenzione particolare di questo giovanissimo sovrano su questa “SCIENZA NUOVA” (come si chiamava allora) che avrebbe determinato poi i campi di confronto delle nazioni in futuro. Noi siamo antesignani anche in questo campo. A differenza di quanto ci viene ripetuto da anni persino all’Università, dicendo che gli inglesi sono stati i primi.  Il regno delle Due Sicilie era retto dai sovrani cattolicissimi. Questa economia, pertanto, aveva valori tradizionali secondo la famosa triade: Dio, patria e famiglia. Max Weber collegò proprio gli sviluppo del capitalismo inglese e dell’economia moderna con i dettami del Protestantesimo. Al centro della weltanschauung napoletana, per converso, vi era l’uomo e la sua dignità di essere umano, non il profitto. 
Antonio Genovesi
Tanto è vero che persino un uomo di scienze, come il già citato Antonio Genovesi, è profondamente influenzato dalle impostazioni neoplatoniche e dalle filosofie del senso morale vigenti nel Regno delle Due Sicilie. È altresì influenzato dalla concezione tomista del bene comune e dell’etica delle virtù. L’idea della eterogenesi dei fini, da un lato, e, dall’altro, l’idea antropologica di animal civile (ispirata a Giambattista Vico), entrambe al centro del suo pensiero, rendono per la prima volta esplicita una concezione cooperativa del mercato concorrenziale. È una linea argomentativa di questo genere che induce Genovesi a rovesciare il celebre adagio di Thomas Hobbes (homo homini lupus) nel suo contrario: homo homini natura amicus.  

L’economia veniva solo al terzo posto, dopo la politica e l’etica sociale della Chiesa. I Re Borbone erano i sovrani cattolicissimi e Napoli era la perfetta incarnazione di uno Stato cattolicissimo, in cui era l’aggettivo “sociale” a farla da padrone. Era il cattolicesimo sociale propugnato da Thomas More nella sua “Utopia”, che vide la sua realizzazione pratica e tangibile nell’esperimento di San Leucio, dove si realizzò compiutamente una sorta di socialismo “ante litteram”. Tutte le norme del Regno traevano linfa dalla parte sociale e politica del Vangelo. Ed il Re era il tramite fra il Vangelo ed il popolo.  Infatti i paladini del Papa saranno proprio i Borbone.  Chiaramente, oltre manica, le cose andavano molto diversamente. L'economia stava al primo posto e prevaleva sulla politica. Quest'ultima serviva solo per mettere in pratica ciò che i grandi capitalisti desideravano. Per quanto riguarda la morale bastava essere a posto con la propria coscienza e tutto finiva lì.
In pratica non esisteva un'etica sociale ma solo una morale personale che non doveva rendere conto a niente e a nessuno.
Una tale classificazione produceva nel mondo anglosassone una diversa concezione della vita e della economia. Nell'economia inglese lo sfruttamento del lavoratore era una parte inevitabile del processo capitalistico, ragion per cui non vi erano spiragli per la dignità umana del lavoratore. Basta leggersi Charles Dickens per capire di cosa si sta parlando. I lavoratori venivano sfruttati per intere giornate per paghe da fame e venivano impiegate persino donne e bambini... Quindi il vero primato del Regno borbonico era quello di aver capito  molto prima di John Maynard Keynes che lo Stato doveva avere un ruolo importante nella economia del Paese.  Fu proprio per questo motivo che a Pietrarsa e a Mongiana si lavorava per sole otto ore, rispetto alle dodici di Manchester o di Liverpool.  E le donne erano pagate allo stesso modo degli uomini e i fanciulli erano esonerati dal lavoro. E ciò, evidentemente, non perchè qui gli imprenditori fossero più "bravi" rispetto ai loro colleghi anglosassoni. Qui, non si vuole affermare una sorta di razzismo al contrario. Se nel regno delle due Sicilie si lavoravano otto ore rispetto alle 12 di Manchester, ciò era dovuto alla presenza di uno Stato regolatore dell'economia; e, soprattutto, al fatto importantissimo che alla base dell'organizzazione dell'antico regno vi era l'etica sociale e non l'economia!  Qualcuno potrebbe obiettare che nei racconti di Pirandello si trovano ampie tracce di lavoro minorile espletato nelle miniere di zolfo siciliane. E’ vero! Ebbene, si trattava, nemmeno a farlo apposta, delle solfare siciliane date in concessione agli inglesi dopo che questi ultimi aiutarono il Cardinale Ruffo a riconquistare Napoli contro i francesi.  In quelle solfare veniva appunto applicato il modello lavorativo inglese che impiegava già allora manodopera a basso costo, senza tener in minimo conto la tenera età dei fanciulli.  Fu anche per questo motivo che Ferdinando II revocò  tale concessione di queste solfare. Ed è proprio in seguito a ciò che gli inglesi scateneranno la più grande guerra contro il Regno delle Due Sicilie. Da questo discorso ne potrebbe venir fuori una classica obiezione secondo cui questo tipo di economia poteva andar bene in un regime di protezionismo autarchico, chiuso al commercio con l’estero, poiché non era possibile far concorrenza ai paesi anglosassoni. Ed anche questo è opinabile; poiché se è vero (come è vero) che la manodopera assume un costo rilevante alla fine del processo produttivo, è altrettanto vero che le condizioni favorevolissime di lavoro avevano evitato alienazioni, pause esagerate nel lavoro e, soprattutto, un minor spreco di materie prime. In conclusione, facendo le somme, il prodotto aveva pressappoco lo stesso costo di produzione. Questo motivo spiega anche perché la flotta mercantile napoletana era una delle prime del mondo e girava ovunque vendendo i nostri prodotti! Altro che autarchia!   In Sicilia, vi erano, all’epoca, piantagioni di cotone!  A San Leucio  vi erano le migliori seterie d’Europa. Si esportavano merci in Sud America, in Nord America e persino in Australia, in barba agli inglesi! Ci sono i dati a confermarlo. Vi era anche una sorta di spionaggio industriale. Per esempio si andava in Indonesia a vedere dove gli inglesi compravano le spezie e poi si faceva loro concorrenza. Ed è per questo che gli inglesi dovettero correre ai ripari  Se si fosse diffusa la forma mentis dell’Antico Regno, tutta l’Europa, prima o poi, ne sarebbe rimasta contagiata e l’Inghilterra avrebbe perso irrimediabilmente la sua leadership. Per tutti questi motivi il Regno di Napoli non solo andava combattuto con ogni mezzo, anche illecito, ma andava cancellata ogni traccia del suo essere nella Storia. Questo è in breve il motivo di tanta acrimonia provata dagli inglesi contro il Regno di Napoli.

Ma veniamo all'oggi. Dinamiche storiche e culturali si sono intrecciate con interessi geopolitici ed economici, ma soprattutto con la mancanza di rinnovamento politico fra le classi dirigenti. Tali elementi hanno inciso negativamente sulla formazione dei meccanismi rappresentativi, e hanno fatto si che non vi fosse una vera unità politico-culturale, ma solo un’unità meccanica, fattuale, imposta coercitivamente. L’unità d’Italia, insomma, si è realizzata a costi di grandissimi sacrifici imposti al meridione sia sotto il profilo economico sia dal punto di vista politico istituzionale sia soprattutto sotto il profilo psicologico innestando una sorta di complesso di inferiorità.
Le istanze autonomistiche furono mortificate da una sorta di omologazione socioculturale, imposta dallo Stato centrale, che voleva unificare due realtà marcatamente differenziate. La consapevolezza delle ricadute sociale ed economiche della questione meridionale da parte dello Stato Sabaudo è oggetto delle pelose riflessioni di studiosi meridionali asserviti al potere fra i quali: Giustino Fortunato,  Don Luigi Sturzo, Antonio Gramsci, Guido Dorso.  Costoro hanno indicato nel superamento della storica separatezza (?), la condizione essenziale per realizzare l’Unità d’Italia.
La storia del mezzogiorno d’Italia è costellata da leggi speciali, dalla nascita di associazioni a tutela degli interessi meridionali. Tutte cose assolutamente non necessarie se si fosse evitato di depredare, dissipare  sistematicamente ed incessantemente  le ricchezze del nostro Mezzogiorno.
Per tali precisi motivi occorre indispensabilmente riesaminare tutte le analisi sin qui compiute. La nostra terra soffre per le speculazioni di cui è incessantemente oggetto, sin dalla famigerata unità d'Italia.
Il nostro popolo soffre per l’elevata diffusione del lavoro nero e irregolare, per l’elevata fuga dei suoi giovani verso il nord o, peggio, verso l’estero. Tutti ricorderanno le parole di Fanfani allorquando – negli anni ‘70-  intervenne per sedare la rivoluzione di Reggio dicendo: “’mparatev’è lingue e andate all’estero”. Il sud è assai carente di infrastrutture ed un sistema di infrastrutture efficiente è fondamentale per la crescita di un paese. Soltanto dal definitivo superamento di queste condizioni potrà iniziare un duraturo sviluppo di crescita autonomo.“Non saranno mai gli altri i risolutori dei problemi del sud” - scrive Domenico Ficarra.
Il mezzogiorno subisce la presenza opprimente della criminalità organizzata che incide negativamente sul tessuto socio economico, con ricadute non solo di ordine economico e fiscale, ma soprattutto di ordine morale e sociale. S’impone adesso una scelta cruciale: o si prendono in mano le redini del proprio destino o si finisce in bocca alla perfida albione e agli speculatori internazionali, costringendo il nostro popolo ad una nuova stagione di emigrazione. La decisione spetta a noi,  il riscatto passa esclusivamente per le nostre mani. Bisogma dire di no non solo alla mafia e alla camorra, ma anche a questo stato centralista e dissipatore, creatore di ogni nequizia a carico dell’onesto popolo meridionale.
©  Aramis

1 commento:

  1. Un articolo veramente ben fatto e degno di essere pubblicato.
    Ad adiuvandum potrebbe inserirsi il problema monetario per completare il quadro. Ottimo davvero.

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