lunedì 13 luglio 2020

Cui Prodest? Perché rinvangare il passato?

Chi propone di fare questi conti, dopo un secolo e mezzo, è accusato di voler spaccare il Paese (come lo avessero mai davvero voluto unire! Per capirlo, basta prendere un treno al Nord e al Sud, sempre che, nel frattempo, abbiano almeno fatto la ferrovia, dove ancora manca al Sud); mentre, chi pretende che questi temi restino ignorati è sospettato di voler continuare a trarre, da un divario costruito con il sangue e una politica razzista, privilegi per una parte del Paese, a danno dell’altra.
A che pro rivangare, dicono? Potrei replicare così: perché chi mi ha fatto del male deve decidere anche la durata del mio dolore e senza nemmeno rimuoverne le cause, anzi?
Invece preferisco metterla così: il tentativo di unire gli italiani nella menzogna è fallito. Vi dispiace se proviamo con la verità? Ci sono prove inconfutabili che funziona di più. Naturalmente, non c’è nessuna intenzione di chiedere giustizia per i crimini della storia (giustificare i delitti di ieri con il presunto bene di oggi, non potendosi più dimostrare l’eventuale maggior bene distrutto, è l’inganno di chi vince e detta il percorso della storia, ovunque nel mondo, mica soltanto della nostra. I delitti di chi perde, invece, restano delitti; la stessa reazione all’offesa diventa un delitto, “Brigantaggio”, e talvolta gli sono attribuiti, dopo la sconfitta, pure i crimini del vincitore, in modo che il male stia tutto dalla parte di chi soccombe, a giustificare, anche moralmente e come necessaria, qualunque azione del vincitore). No, non è giustizia che si cerca: la disperazione delle vittime non ha avuto consolazione in tempo ed è terminata con la loro vita; la colpa dei carnefici è estinta, perché la loro morte rende impossibile la punizione (si può solo sperare che esista l'inferno: e la miseria; averci pure la sfiga di essere ateo!). É vero che il reato di genocidio non conosce prescrizione. Ma non possiamo mettere pagine di storia sul banco degli imputati. Non mi piacciono le idee che vincono in tribunale, invece di convincere.
Restano le conseguenze, non sempre riconoscibili; a distanza di generazioni, gli eredi dei carnefici e dei loro complici locali, il cui patriottismo era spesso misurato in ettari e scudi d’oro, godono del frutto di quei crimini, mentre i primi a essere traditi furono gli idealisti di una parte e dell’altra, che sacrificarono i loro beni, chi ne aveva, e molti la vita (il sangue dei puri concima l’orto dei furbi): e forse furono più fortunati, perché non dovettero assistere a quel che fece sentire colpevoli i sopravvissuti, fra loro.
Per giustificare invasione e massacro, furono condannati i costumi, i sentimenti, la dignità, l’intera storia, la sapienza di un popolo e la sua idea del domani, descritti come incivili, arretrati, ridotti in ogni campo al peggio, al punto che l’unico modo per sfuggire alla dannazione di far parte di cotal genìa divenne rinnegare se stessi, partecipare alla demolizione della propria identità, per meritare di essere accolti, da ultimi arrivati e incompiuti, nella casa e negli usi del padrone (di fatto tale, avendo, ancora oggi, più diritti e quasi tutto il potere) sopraggiunto e impostosi.
No, bisogna saperle “le cose brutte”, per capire se vogliamo stare insieme; e, se sì, come. E c’è un solo modo: condividere la memoria, a partire dal momento in cui venne sdoppiata e falsata. Se la mia storia non diviene anche la tua, ma la tua, aggiustata in modo che sembri l’unica possibile, deve schiacciare la mia; se non accettiamo il passato degli uni e degli altri come di entrambi, con lo stesso orgoglio e la stessa vergogna, allora davvero non resta altro futuro che andarsene ognuno con la propria storia, per non continuare a essere, i vinti, prigionieri mal tollerati di quella che nega loro l'ugual valore e li offende.
Testo liberamente estrapolato da Pino Aprile, "CARNEFICI", pagg. 32-33-34

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