martedì 14 luglio 2020

Su Pontelandolfo


Il controllo della memoria a fini politici non poteva consentire che si raccontasse, per esempio, una strage come quella di Pontelandolfo: quei controllori del passato a uso del presente erano saldamente in attività, quando avvennero i massacri al Sud; e la loro gestione della Storia, per cloni persino consanguinei, continuò sino a dopo la Prima guerra mondiale. «Fu, la loro», scrive Levra «un’operazione che, con poche soluzioni di continuità, travasò la storiografia dinastica piemontese degli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento in una storiografia dell’unificazione italiana sub specie moderata, scritta a caldo già negli anni Cinquanta mentre gli eventi erano in corso, e consolidata e ampliata dagli anni Sessanta alla fine del secolo.»
Dagli anni Sessanta alla fine del secolo: dall’invasione del Regno delle Due Sicilie alle stragi dei Fasci siciliani.
Fino a che (riassumo molto), si giunse «a un’interpretazione della storia d’Italia in funzione di quella del Regno di Sardegna», e alla “missione” dei Savoia di unificare il Paese: come se la dinastia si fosse data da sempre il compito di fare l’Italia, insomma. Naturalmente non è vero, ma lo si fece diventare vero con una “memoria costruita a posteriori” (in Turchia dicono: “Storia costruita ufficiale”), per aggiustare il prima, in modo da renderlo coerente con il dopo. Questo fu e doveva essere il racconto della nostra storia resa sabauda e unitarista da prima che di unità si parlasse.
Testo liberamente tratto da Pino Aprile "carnefici", pagg. 69-70



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